Tra il respiro silenzioso dei boschi e il dolce ondulare delle colline marchigiane, si adagia Macerata Feltria, custode di storie millenarie. Sorta dalle ceneri di Pitinum Pisaurense, antico municipio romano distrutto dai Goti, il suo nome sussurra la leggenda delle macerie rinascenti.
Entrata principale del Montefeltro orientale, la città si adorna di misteri antichi, come l’arco dedicato ai Pelasgi, e di reperti archeologici che raccontano di una vita che fiorì qui tra il III e il II secolo a.C. Macerata Feltria, oggi tra i Borghi più belli d’Italia, è un mosaico di storia e natura.
Il suo passato romano si intreccia con le vicissitudini medievali, quando fu terreno di lotta tra le famiglie Malatesta e Montefeltro, e divenne un fulcro culturale sotto i Montefeltro, che ne valorizzarono l’aspetto commerciale e amministrativo.
Nel suo patrimonio artistico: il Museo Civico Archeologico e Paleontologico che conserva le testimonianze del suo glorioso passato, la Pieve di San Cassiano, l’imponente Castello e la Chiesa di San Francesco, gioielli di architettura romanica e gotica. Attraversata da un tempo senza età, Macerata Feltria oggi è un incrocio vitale tra passato e presente, un centro di servizi e cultura che continua a garantire vitalità al Montefeltro.
Nel suo abbraccio si può passeggiare lungo il torrente Apsa, scoprire parchi segreti e luoghi di un silenzio che racconta storie senza parole.
Qui, dove la natura si mescola con i segni dell’uomo, Macerata Feltria rimane un gioiello incastonato nella storia, un luogo dove ogni pietra, ogni via, parla di epoche lontane e di genti che hanno costruito la sua identità inconfondibile.
Macerata Feltria è un viaggio dentro un mosaico in chiaroscuro, dove ogni tessera è un momento di una storia che va dal III secolo a.C. dall’insediamento romano Pitinum Pisaurense, attraverso le vicende medievali di lotte e nobili alleanze, fino al suo ingresso nel Ducato di Urbino e poi nello Stato della Chiesa, fino all’unità d’Italia.
Per raggiungere questo scrigno storico, occorre un’ascesa su per la collina, un percorso dal ponte Lucchini (o ponte san Francesco), cordone ombelicale che connette il Borgo al Castello, testimone di secoli di passaggi e di preghiere.
Giunti davanti alla chiesa e al convento di San Francesco, edificati nella metà del Trecento, si è accolti dalle meravigliose viuzze, simili a Il nuovo e vecchio borgo Vicolo con scorcio sul Montefeltro arterie di un tempo passato, che serpeggiano verso il Palazzo del Podestà sino alla Torre Civica.
Proprio qui, nel centro del castello, sorge il Museo Civico Archeologico e Paleontologico di Macerata Feltria, un’istituzione culturale essenziale per chi desidera approfondire la storia dell’antico insediamento di Pitinum Pisaurense e della regione del Montefeltro.
Il museo si trova all’interno del Palazzo del Podestà del XIV secolo e si estende in parte anche all’interno della Torre Civica.
Esso espone un’ampia gamma di reperti che coprono il periodo dalla preistoria fino all’età romana, con un focus particolare sulla città romana di Pitinum Pisaurense.
Gli otto ambienti espositivi del museo offrono una dettagliata narrazione storica, dalla scheggiatura della selce preistorica ai manufatti dell’età del Bronzo e del Ferro, fino ai ritrovamenti archeologici più recenti.
Sono esposti reperti significativi come epigrafi, monete e oggetti quotidiani dell’epoca romana, oltre a una collezione di fossili del territorio del Montefeltro.
L’atmosfera vera del borgo si svela però attraverso sorprese ad ogni angolo: le foglie autunnali che disegnano tappeti d’oro e di fuoco e gemme celate che emergono al passaggio dei visitatori, come la facciata di una casa privata adornata da un’opera artistica che raffigura la Madonna con il Bambino – una manifestazione di fede e bellezza del tutto inattesa.
Sotto l’Arco dei Pelasgi, monumento che omaggia l’antico popolo greco considerato fondatore mitologico della città, si percepisce pienamente la storia di Macerata Feltria, un arco che non solo rende onore alle sue leggendarie origini ma incarna anche la ricchezza della sua storia.
Nel cuore del borgo, il Teatro Angelo Battelli, è un luogo intriso di storie e di sogni.
Emergendo dal fervore culturale di un’epoca lontana, questo teatro è un vero gioiello architettonico, specchio dell’anima melodrammatica della città, un palcoscenico dove si sono snodate le trame di innumerevoli racconti.
La sua storia ha radici nel 1712, all’epoca in cui un altro teatro, nel Castello, incendiava gli animi e le menti della gioventù di Macerata Feltria, affamata di dramma e poesia scenica.
Un ardore che non si è mai spento fino a quando, nel 1930, si aprirono le porte del Teatro Lirico che oggi onora il nome di Angelo Battelli.
Il Battelli, il cui spirito sembra ancora aleggiare tra le quinte, fu uomo di scienza e di stato, una mente che superò i limiti del suo tempo per abbracciare il futuro.
Pioniere negli studi sui raggi X, sull’elettricità e sulla radiotelegrafia, vide nel telegrafo senza fili non solo una meraviglia della fisica, ma anche un ponte verso possibilità inesplorate.
Nei cieli della sua ricerca, gli aeroplani “solcavano le correnti” con una nuova comprensione dell’aerodinamica, e nel fragore delle battaglie, il suo genio contribuì a plasmare le invenzioni che avrebbero portato al termine del conflitto.
Il Teatro Battelli è un tempio dell’arte, la cui architettura canta l’ode all’ottocento con i suoi palchi a ferro di cavallo e le sue decorazioni in stucco, un retaggio di quell’epoca che ancora oggi incanta e meraviglia.
Nel suo interno, i dettagli novecenteschi si fondono con il gusto liberty, come nel grande ovoide che domina la volta, dove un’immagine simbolica di Macerata Feltria ascolta il divino Apollo, in una rappresentazione che è quasi una preghiera dipinta, una richiesta di eterna bellezza e ispirazione.
Dopo anni di silenzio e un lento degrado che culminò nella sua chiusura nel 1984, il teatro è stato riportato alla vita nel 2001, grazie a un restauro che ne ha risvegliato l’anima.
Come una fenice, continua a infondere cultura e arte, celebrando il genio di colui a cui è dedicato e mantenendo vivo l’incanto di un tempo in cui la scienza e l’arte danzavano insieme, nel nome di un futuro pieno di scoperte e meraviglie.
A pochi passi dal Teatro Battelli, in via Antimi, si trova la chiesa di San Michele Arcangelo, un monumento che, nonostante la sua giovinezza ottocentesca, sussurra echi di un’epoca lontana.
La sua struttura si rivela nella geometria semplice e pura, con una navata unica che ascende verso l’altare maggiore e si apre in un’abside semicircolare simile a un abbraccio pietroso che custodisce preghiere e confessioni.
All’interno di questo luogo sacro si cela una cripta, un intreccio di pietra e mattoni che si lega alle fondamenta come radici profonde.
Ma è il Crocifisso ligneo, il tesoro di legno e tempo, a sottrarre il fiato: si impone con la sua maestosa presenza, un silenzioso custode della sofferenza e della divinità, un’opera che evoca la spiritualità e l’arte di una terra dove il sacro si mescola all’umano.
La croce di Macerata Feltria, maestosa nelle sue dimensioni e sublime nella sua esecuzione, si eleva come un ponte tra i secoli, anticipando l’estetica del Quattrocento con una maestria che sfida il tempo.
Lungamente attribuita a Carlo da Camerino nel 1396 e poi, in una rinnovata lettura storica, a Olivuccio di Ciccarello, questa croce incarna una storia artistica e spirituale che per troppo tempo è rimasta nascosta.
Oggi ci parla, un relitto di bellezza e di mistero, un enigma che ancora attende di essere completamente svelato, simbolo di una religiosità profonda e di un’arte che è stata luce in un’era di oscurità.
Questa tipologia di croci dipinte, giganti, silenziose dal XII al XIV secolo, che hanno scandito il ritmo spirituale delle Marche, sono testimoni di una fede che ha attraversato i secoli.
Risiedono ancora oggi in chiese e monasteri, talvolta nascoste agli occhi del mondo, rivelando le tradizioni e la devozione di comunità che hanno trovato nell’arte una voce per il proprio credo.
Tra le colline del Montefeltro, lungo il cammino che da Macerata Feltria va verso Carpegna, sorge la Pieve di San Cassiano in Pitino, custode silenziosa dell’XI secolo.
Documenti antichi la citano, consacrando la sua importanza: bolle papali, testamenti nobiliari e cronache ecclesiastiche tessono la narrazione della sua rilevanza nel tessuto religioso e sociale.
Le sue navate, scandite da colonne solenni, hanno accolto nei secoli i fedeli e una statua di San Sebastiano del XV secolo, testimone marmorea di devozione e arte, ora velata dai teli dei restauratori.
Questo antico baluardo del sacro affonda le sue radici nell’alba del Cristianesimo, quando le voci del V e VI secolo risuonavano tra le sue mura, elevandosi sopra le ceneri di un’era travagliata da invasioni.
Il XVI secolo vide la Pieve trasformarsi, con l’abside romanico che cedeva il passo a forme più ampie e finestre che si schiudevano a nuove luci.
Segni incisi nel tempo narrano di un’evoluzione costante. La Pieve, ora risvegliata da un sonno di secoli grazie a restauri meticolosi, rivela segreti seppelliti: pavimenti alto-medievali e frammenti di sculture che decoravano un tempo l’altare. È come se ogni pietra, ogni frammento raccontasse una storia.
La torre bizantina sorveglia discreta e primordiale incantando i visitatori.
Antica sentinella contro le scorrerie barbariche, ancora oggi mostra la sua scala angusta e i gradini levigati dall’uso, memoria di un passato in cui la sicurezza era un bene prezioso e raro.
All’esterno, adiacente alla Pieve medievale, gli scavi archeologici hanno rivelato un ampio lastricato di epoca romana, già interpretato in passato come la strada principale (Decumano Massimo) che attraversava in senso Est-Ovest Pitinum Pisaurense.
Mura grandi e robuste, cocci, frammenti di ceramica monocroma rossa, numerosissimi mosaici e monete fanno pensare alla probabile presenza di antiche Terme con i suoi acquedotti, i suoi tepidari e i suoi scarichi.
È questa la vera zona archeologica, il luogo dove sono stati portati alla luce i resti dell’antica città romana.
All’interno del maestoso salone dell’ex Convento di San Francesco, risalente al XIV secolo, si cela un tesoro unico: il Museo della Radio d’Epoca.
Questo museo, il secondo del suo genere in Italia, nasce dalla passione e dalla generosità di Carlo Chiuselli, un collezionista che ha dedicato anni alla raccolta e al restauro di oltre 100 apparecchi radiofonici.
Questi gioielli tecnologici, provenienti da Italia, Germania, Inghilterra, Francia e Stati Uniti, coprono un arco temporale che va dagli anni ‘20 agli anni ‘60 del secolo scorso. Ogni pezzo della collezione rappresenta un capitolo della storia della radio, un medium che ha segnato profondamente il XX secolo.
La mostra è un viaggio nel tempo, dove si possono ammirare apparecchi che hanno trasmesso le prime comunicazioni radio, sfiorando l’era delle radiocomunicazioni globali.
Il restauro conservativo, unito a un approfondito lavoro di ricerca e studio, ha reso possibile riportare in vita queste radio, facendole rivivere non solo come oggetti esposti ma come strumenti funzionanti, capaci di sintonizzarsi sulle frequenze del passato.
Ogni radio, con le sue forme, i suoi materiali e il suo design, racconta non solo l’evoluzione tecnologica ma anche quella sociale e culturale del ‘900.
Dalle prime radio, semplici scatole di legno o cofanetti contenenti le essenziali valvole, fino ai modelli più elaborati degli anni ‘60, ogni apparecchio è una finestra aperta su un’epoca.
La collezione comprende anche una vasta gamma di accessori: altoparlanti, cuffie, microfoni, valvole, oltre a un ricco materiale documentario che include fotografie, bollettini tecnici, manifesti pubblicitari, libri e riviste specializzate originali.
Per concludere non poteva mancare l’essenza dell’enogastronomia autentica di Macerata Feltria, dove la filosofia del chilometro zero si traduce in delizie culinarie che raccontano la storia e le tradizioni maceratine.
L’Amministrazione comunale, con saggezza e lungimiranza, ha abbracciato l’iniziativa della Denominazione Comunale di Origine “De.Co.”, un sigillo di autenticità per i prodotti tipici che sono l’anima di questo luogo.
Cinque sono le specialità che vantano questo marchio distintivo: La Torta di noci De.Co., fiore all’occhiello di Macerata Feltria, è un dolce rustico con noci sminuzzate e uvetta, un tempo il “pane dei poveri”, oggi testimonianza della ricchezza gastronomica locale.
Il Bostrengo De.Co., un dolce al cucchiaio dove il riso bollito si fonde con il latte, le uova e lo zucchero, sprigionando il profumo di amido e pane grattugiato, una sintesi perfetta tra semplicità e gusto.
Le Castagnole De.Co., dolcetti irregolari immersi nell’alchermes e avvolti nello zucchero, con la loro parte esterna color noce e il cuore rosso, rappresentano la tradizione dolciaria in festa.
L’estate si accende poi con “Stelle d’Argento”, ristorazione e musica nella suggestiva notte delle stelle cadenti e “Parchi d’estate”, spettacoli teatrali, concerti, eventi per i più piccoli da godersi nelle calde serate, al fresco delle tante aree verdi del comune.
Il Salame De.Co., orgoglio di Macerata Feltria, esalta la carne suina marchigiana in un equilibrio di sapori semplici ma intensi, incarnando la nobiltà del cibo fatto con cura e passione.
La Porchetta De.Co., squisita in ogni sua parte anatomica, condita con sale, finocchio selvatico, aglio e pepe, racchiude il sapore della tradizione in una crosta croccante e un’interno morbido e succulento.
Queste eccellenze, unite sotto il vessillo della De.Co., non solo esaltano le peculiarità del luogo, ma diventano ambasciatrici di una comunità che trova nella sua terra e nei suoi prodotti il vero senso di appartenenza e orgoglio.
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