Confuso con lo scorrere dell’acqua, il rumore dei nostri passi quasi scompare quando attraversiamo il ponte medievale che ci avvicina al centro di Apecchio.
Esso torna ad accompagnarci, ora squillante e distinto, mentre calpestiamo il selciato orlato di aiuole fiorite, diretti alla grande Torre d’ingresso, imponente e severa, vedetta ineludibile durante i bellicosi secoli medievali.
Al servizio dei conti Ubaldini della Carda, storici signori di Apecchio, la Torre reca ancora la loro effigie, una testa di cervo, animale tra i più nobili e regali, sormontata da una stella.
Smessi gli scopi difensivi, quella che oggi è divenuta la Torre dell’Orologio, chiamata affettuosamente “el Campanon” dagli abitanti che continuano ad attraversarla, è pronta ad accoglierci ad Apecchio.
Un luogo unico, crocevia tra Marche, Umbria e Toscana, terre diverse che qui si incontrano in una sintesi stupenda, tutte riconoscibili dalla cima dell’altro grande guardiano della città, il Monte Nerone, dove la vista arriva ad abbracciare perfino il mare.
Come tutti i punti di confine, Apecchio è stato ricettacolo di tradizioni e culture diverse, accolte e integrate in armonia, di cui meravigliose testimonianze artistiche e culturali, alcune delle quali da record, ci aspettano.
Arrivando da lontano diretti verso Apecchio, un punto focale ci guida, come una stella polare su cui inevitabilmente il nostro sguardo si fissa. È Palazzo Ubaldini, la testimonianza più impressionante che ci rimane della grande famiglia a cui la storia cittadina è legata: gli Ubaldini, in particolare il ramo cadetto della Carda. Il progetto del Palazzo porta la data del 1477 e la firma dell’architetto che tante prove del suo genio ha lasciato nel Montefeltro: Francesco di Giorgio Martini. Il Palazzo, purtroppo vittima insieme al resto di Apecchio di un terribile terremoto, conserva ancora parti originali che ne lasciano indovinare lo splendore che si confaceva alla residenza dei membri di questa nobile dinastia. È il porticato all’ingresso che per primo ce lo dimostra. Geometricamente impeccabile come le regole rinascimentali imponevano, è scandito da otto colonne in pietra arenaria culminanti in classicheggianti capitelli ionici, che guidano lo sguardo fino alle finestre elegantemente incorniciate del primo piano, oggi sede del Municipio. Sulla parete alla destra dell’ingresso, tre grandi pannelli riproducono il capolavoro di Paolo Uccello, la Battaglia di San Romano.
Quest’opera ci aiuta a capire quanto gli Ubaldini siano stati protagonisti della storia rinascimentale.
Il quadro centrale ritrae un triste episodio per la famiglia: il disarcionamento di Bernardino della Carda, conte di Apecchio e capitano di ventura, alla guida dell’esercito senese contro quello fiorentino. Al centro del cortile interno, una piccola botola ci segnala quella che era l’apertura dell’antica neviera, utilizzata per la conservazione dei cibi, che si sviluppa nei sotterranei del Palazzo, anch’essi rimasti identici dai tempi del progetto del Martini. Molto spaziosi, questi ambienti ospitavano la scuderia, la cucina e la cantina. Qui sono stati recuperati due pigiatoi, da cui stillavano i vini serviti per allietare i fastosi banchetti. Ma un altro inquietante ritrovamento ha completato la storia di queste grotte: l’emersione di ossa umane ci fa capire che se provocati, gli Ubaldini non esitavano a confinare in prigione i loro avversari, spesso a tempo indeterminato
Quando entriamo a Palazzo Ubaldini, potremmo pensare di trovarci in un simbolo di storia locale che, per quanto splendido, appartiene ormai al passato. Niente di più errato. Il Palazzo è vivo e dinamico. Al piano terra è custodito un gioiello unico, il Teatro G. Perugini. Compreso tra i Teatri Storici delle Marche, fu fondato nel 1876 in concomitanza con la nascita della Filodrammatica, attiva ancora oggi e promotrice di spettacoli dialettali che tengono viva la tradizione locale.
Il Teatro detiene un record molto particolare: è il più piccolo teatro delle Marche con i suoi 42 posti a sedere.
Scendendo negli antichi sotterranei, sotto le ampie volte a botte è stato allestito il Museo dei Fossili e Minerali del Monte Nerone. Appena entrati, i gusci delle ammoniti, preistorici molluschi marini, ipnotizzano il nostro sguardo con la loro forma a spirale. Come è possibile che questi animali siano stati ritrovati tra le rocce del Monte Nerone? Siamo abituati ad immaginare la montagna come punto di riferimento immutabile, eppure nella scala delle epoche geologiche un monte è solo uno dei tanti stadi modellati dai lentissimi processi che sommuovono la terra.
Dove ora ci sono alte vette, milioni di anni fa c’era un mare tropicale, in cui le ammoniti e tantissime altre creature sguazzavano libere. Il Museo continua con reperti che ci guidano alla scoperta dell’evoluzione ambientale della zona del Nerone, con ossa e teschi di predatori come l’orso delle caverne, a fianco di ritrovamenti provenienti da tutto il mondo e delle curiose pietre septarie, rocce che illuminate dai raggi UV diventano fluorescenti. Molto interessante anche la collezione di campane recuperate dalle pievi di Apecchio.
La più antica risale al 1300, mentre sulla campana degli Ubaldini, del XVII secolo, possiamo notare il simbolo di Apecchio: un picchio sul dorso di una vacca. Leggenda vuole che i conti Ubaldini avessero fatto colare il loro oro per realizzarla e ottenere così un suono di dolcezza incomparabile.
La visita del Museo è resa chiara ed efficace dal gran numero di pannelli esplicativi, in italiano ed inglese, e da vari supporti multimediali e interattivi che aiutano a immergersi in tempi remoti, ad ascoltare le onde del mare là dove ora il vento spira tra le vette.
Apecchio è inesauribile. Esplorandola, ci rendiamo conto che non c’è soluzione di continuità in ciò che di interessante possiamo ammirare.
Arrivando, come non godere del piacere di superare il fiume Biscubio attraversando il Ponte “a schiena d’asino”, tipica costruzione medievale che trova qui uno dei suoi esempi più pittoreschi.
L’immagine così serena che questo angolo di paesaggio sa evocare pare aver ispirato Raffaello nel realizzare la Madonna del Cardellino, capolavoro sullo sfondo del quale appare un ponte la cui sagoma combacia con quello di Apecchio. In pieno centro case, strade e palazzi si aprono come un libro e ci narrano la storia del borgo.
Scopriamo le vicende della comunità ebraica, vissuta qui dalla fine del XV secolo, rintracciando la sinagoga, il forno e il cortile dove si celebrava la Sukkot, la Festa delle Capanne.
Il Vicoletto, non più ampio di 42 centimetri, ciò che lo rende uno dei più stretti d’Italia, testimonia della furba trovata escogitata per evitare di pagare una pesante gabella imposta dalla Chiesa a quegli ebrei che volevano costruire la loro casa attaccata a quella di un cristiano.
Un altro grande patrimonio è costituito dalle chiese disseminate nel cuore di Apecchio. Spicca, adiacente a Palazzo Ubaldini, il Santuario del Santissimo Crocifisso, noto in passato come Pieve di San Martino, costruita secondo alcune teorie sui resti di un tempio consacrato al dio Marte.
Al suo interno, un’opera a cui gli apecchiesi sono particolarmente legati: il Crocifisso ligneo che, secondo la tradizione, protesse i cittadini dal disastroso terremoto del 1781.
Non vanno dimenticate inoltre le preziose opere d’arte custodite nella chiesa della Madonna della Vita, i misteriosi simboli templari che emergono tra i lacerti degli affreschi della chiesa di Santa Lucia e la deliziosa chiesetta di S. Caterina d’Alessandria, protetta dall’ombra di un lungo viale alberato.
Fuori dal perimetro urbano, fa bella mostra di sé un’enorme macina in pietra utilizzata per macinare il guado, erba da cui veniva ricavato l’indaco, colore prezioso usato per tingere tessuti e realizzare quadri, per secoli fonte di ricchezza per Apecchio
Apecchio è avvolta dagli abbracci della natura. Ciò che colpisce è la sintesi perfetta che si è creata fra l’opera umana e quella naturale.
Da Apecchio, costruita su un terrazzamento fluviale formato dalla confluenza del Biscubio con il Menatoio, si propagano lunghi viali alberati, come rami da un tronco. Spicca il Viale di Velluto, grande strada ombreggiata dalle fronde di faggi e carpini. Solo la brezza, che fresca fruscia tra le foglie, turba il silenzio mentre lo percorriamo. Se il sole con i suoi raggi penetra tra i rami e ci accalda, nessun problema, a pochi passi possiamo rinfrescarci ad una preziosa fonte di acqua sulfurea. Ma certo il grande protagonista del paesaggio di Apecchio è lui, il Monte Nerone. Maestosa e selvaggia, questa montagna invita all’avventura e all’esplorazione.
Ce n’è per tutti i gusti. Da chi vuole mettere a dura prova il proprio atletismo a chi semplicemente intende godersi una sobria passeggiata. I numerosi sentieri ben tracciati permettono di procedere adagio e sicuri
Abbiamo il tempo di posare lo sguardo sui bellissimi scorci che trapelano quando dalla boscaglia si aprono le ampie radure; siamo investiti dal profumo delle orchidee selvatiche che crescono nei prati, dove non è insolito incontrare animali al pascolo, che placidi brucano sotto il cielo terso.
Avremo anche la possibilità di affrontare questi tracciati a cavallo, per sentirci ancora più in simbiosi con l’ambiente. Per chi ama lo sport, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
La natura calcarea delle rocce del Nerone ha fatto sì che si creassero gole, forre e grotte, che costituiscono sfide emozionanti per chi voglia cimentarsi con l’arrampicata o la speleologia.
La presenza di ripide salite e brusche curve che seguono il profilo dei declivi fa scorrere l’adrenalina di chi decida di affrontarle in sella ad una mountain bike.
E d’inverno, quando la coltre candida della neve ammanta i crinali, potremo lasciare le nostre orme con lunghe e tonificanti ciaspolate, o sfruttare gli impianti sciistici per veloci discese inforcando sci o snowboard.
Serravalle di Carda è una frazione poco distante dal centro di Apecchio tutta da scoprire. Svetta su una delle pendici del Monte Nerone, esposta a mezzogiorno.
È bagnata dai raggi del sole che illuminano le case bianche abbarbicate alla roccia, facendole brillare in contrasto col fitto verde circostante. Domina la zona che veniva chiamata Corridoio Bizantino, oggi fascia di confine tra Marche e Umbria. Questa posizione ne ha segnato il destino in passato, con passaggi di mano tra nobili casate e controllo della Chiesa, intervallati da momenti di fiera autonomia, ma ne determina anche il felice presente. Serravalle di Carda è scelta, proprio per la sua collocazione, come punto di partenza ideale per affrontare tutte le numerose attività outdoor che il Monte Nerone offre.
Ed è anche un perfetto luogo di ritorno, per la ricchezza di strutture ricettive e di ristoro, dove si possono assaggiare i sapori tipici del borgo, come la famosa coratella di agnello. Tra le antiche tradizioni, mai lasciate morire, la più importante è sicuramente la Passio, durante la quale, nel Venerdì Santo, si mette in scena una rievocazione della Passione di Cristo.
Continuando ad esplorare i versanti del Nerone, tra boschi e nude pareti, una grande sfera azzurra spicca tra un gruppo di case in cima ad un rilievo roccioso e richiama irresistibilmente la nostra attenzione. Quello che già da lontano abbiamo scorto è il Mappamondo della Pace di Colombara.
Costruito interamente in legno durante gli anni Ottanta da Orfeo Bartolucci, storico geometra locale, questo enorme globo è entrato di diritto nel Guinness dei primati per le sue dimensioni.
Con un diametro di 10 metri e una circonferenza di 31, il Mappamondo è in grado di ospitare al suo interno fino a 600 persone, ed è stato costruito in modo da riprodurre la rotazione terrestre.
Opera di straordinaria maestria tecnica, il Mappamondo è un monito e un augurio per promuovere la pace e l’armonia terrestre.
Immerso in una cornice naturale superba e frutto del più alto ingegno umano, ci ricorda che la bellezza è in grado di salvare il mondo.
Il fatto che Apecchio abbia dovuto creare un nuovo vocabolo ci fa capire quanto sia importante il valore della sua enogastronomia e quanti altri fattori ad essa si leghino.
L’alogastronomia è un neologismo che racchiude il concetto di produrre, degustare e abbinare la birra e il cibo, facendo diventare la bionda bevanda alcolica un autentico connettore.
La birra scorre ad Apecchio come l’acqua sorgiva dal Monte Nerone, che ne rappresenta uno degli ingredienti fondamentali, insieme all’orzo che da queste parti cresce forte e rigoglioso. Un contesto naturale tanto favorevole ha stimolato la voglia di cimentarsi in produzioni raffinate e ricercate.
Sono così nati molti birrifici che hanno riscosso enorme successo coi loro prodotti, in particolare Tenute Collesi, Amarcord, il birrificio Venere e il beerfirm Mochimash.
Non stupisce che Apecchio, conosciuta come “Città della Birra” e sede dell’Associazione Nazionale Città della Birra, sia diventata un punto di riferimento per tutta Italia in questo settore. E di certo non mancano le prelibatezze con cui accompagnare i boccali.
Apecchio è come un enorme portagioie: frugando nel suolo, spuntano i tartufi, gioielli che arricchiscono la tavola in ogni stagione dell’anno con le loro varietà.
Per rendere omaggio a tanta abbondanza, che garantisce l’offerta di birra e tartufo durante tutto l’anno, nel primo week end di ottobre viene organizzata, tra le vie del centro, la Mostra Mercato del Tartufo e Festival dell’Alogastronomia.
Non meno vasto è l’assortimento di funghi, tra cui spicca il fungo Prugnolo, qui detto Spignolo. Prodotti pregiati, ricchi, ricercatissimi. Ma Apecchio è anche paese della tradizione, custode di ricette antiche e rustiche.
Chi arriva non può non assaggiare il Bostrengo, dolce la cui ricetta è invariata da secoli, da quando era chiamato lo “svuotacredenza”, dato che nel prepararlo venivano usati tutti gli ingredienti rimasti in casa, e oggi è prodotto e venduto con la stessa cura dedicata alla birra.
Molti altri sono i piatti legati all’identità cittadina, come il Salmì del Prete e la Coratella d’Agnello.
Tutti caratterizzati dall’eccellenza di ingredienti e preparazione, tanto che anche in questo caso ad Apecchio è venuta in soccorso un’espressione nuova, la Denominazione Comunale di Origine “DE.C.O.”, che ha lo scopo di censire, valorizzare e promuovere le tipicità locali, valore inestimabile della città.
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